ADULTI SI DIVENTA

Peter Pan: una scelta o un destino?

Qualche riflessione sulla storia dell’eterno bambino che non vuole diventare grande e sulla figura del suo autore, Barrie James Matthew.  Nato in Scozia nel 1860 Barrie era di costituzione gracile e fragile, anche da adulto non superò il metro e mezzo e mantenne sempre un aspetto giovanile. Barrie non riuscì mai a superare il trauma della morte precoce del fratello, del quale assunse il ruolo per consolare la madre, bloccando così il normale decorso della propria esistenza.

Fra realtà e fantasia Peter Pan nasce dall’incontro dell’autore con i coniugi Davies e i loro tre figli, trascinati con la fantasia “nell’isola che non c’è” dalle narrazioni dello scrittore.
Quale è il rapporto fra la realtà della vita dell’autore e la sua fantasia?

Peter a 7 giorni dalla nascita sceglie di tornare da dove era venuto, nell’isola dove i bambini sono come uccelli prima di nascere, sceglie di non crescere e fugge dal tempo e dalla realtà, tende a dimenticare, non vive realmente e non accetta il divenire per paura del dolore e delle disillusioni. L’autore rinuncia alla sua vita in funzione del dolore della madre, sceglie di riparare la ferita del grave lutto che ha colpito la sua famiglia, sceglierà poi di occuparsi dei figli Davies, rimasti orfani.

La paura del dolore in un caso e dall’altro la riparazione del dolore.

La qualità della nostra vita dipende molto dalle nostre scelte.

Cosa c’entrano Peter Pan e l’autore di questa favola con la disabilità?

Sono le persone con disabilità che non vogliono crescere o non possono farlo? È il dolore delle famiglie, le loro fatiche, i loro sensi di colpa che se mai affrontati ed elaborati legano le persone in rapporti di reciproca dipendenza? È la cruda realtà di una società scarsamente inclusiva che genera isole chiuse di vita non autenticamente reale e spesso costruita e pensata all’insegna dell’eterna felicità?

Nelle due storie, quella narrata e quella vissuta dall’autore troviamo molti elementi che rappresentano limiti alla crescita degli individui:

-la fatica di crescere: il personaggio di fantasia vive la vita reale solo per sette giorni, poi sceglie il mondo delle fate, della fantasia, dell’eterna giovinezza, mentre l’autore sceglie di occuparsi degli altri, del loro dolore, vive attraverso le sue narrazioni il mondo specialissimo della fantasia;

-l’importanza degli intrecci famigliari: l’autore non vivrà pienamente la sua vita perché deviata dal trauma della perdita del fratello mentre Peter non vuole una famiglia, non vuole nascere alla vita reale, non cresce, non prova l’emozione dei legami;

-il valore del ruolo genitoriale per la crescita dei figli e le conseguenze determinate dalla loro assenza e/o dai loro vissuti;

– l’importanza dell’ambiente di vita: i luoghi dove vivere avventure al di fuori della vita reale “l’isola che non c’è” dove vivono eterni bambini felici, o i luoghi dove vivere la realtà accettando anche il dolore e la sofferenza.

-la valenza del tempo: l’orologio di Capitano Uncino, ingoiato dal coccodrillo, che continua inesorabilmente a battere, richiamando allo scorrere del tempo e della vita vissuta o rifiutata.

 La vita di ogni persona, radicata nel passato e proiettata nel futuro è in parte determinata e in parte costruita e indirizzata dalle proprie scelte, da quelle della famiglia e dal contesto dove si cresce. E questo vale per tutti, anche per le persone con disabilità.

 Possiamo chiederci: si resta piccoli per destino, per limiti, per cultura o per paura? È indubbio che tutti diventiamo adulti almeno fisicamente, ma come lo si diventa? Cosa vuol dire essere adulti? La dipendenza è un limite all’essere adulto?

Il progetto LE.ALI Sostegni si basa proprio sulla consapevolezza che ogni persona con disabilità di qualsiasi età ha il diritto a un sistema di aiuto che garantisca lo sviluppo massimo della propria personalità e delle proprie potenzialità, questo è possibile grazie alle relazioni autentiche costruite nella vita reale e al sostegno necessario per esercitare, una volta adulti, le proprie scelte.

Come si diventa adulti?

La crescita è un processo che dipende primariamente dalle relazioni, dalla cultura di appartenenza, dall’epoca storica in cui si nasce e dall’ambiente in cui si ha il destino di vivere. 

Si è abituati a vedere la disabilità come un’entità diversa, e così facendo ci si dimentica del normale processo di crescita che appartiene a tutti. Tutti siamo stati bambini, adolescenti, adulti e qualcuno già anche anziano; indipendentemente dalle nostre caratteristiche, tutti compiamo un lungo processo di crescita possibile grazie alle relazioni che via via incontriamo in famiglia, a scuola, nella società.

La crescita delle persone con disabilità è ovviamente influenzata anche dalle caratteristiche specifiche, dallo sviluppo delle personalità e dall’accettazione dei limiti; la crescita necessita di tempi adeguati per consentire l’acquisizione di strumenti e strategie utili a favorire lo sviluppo cognitivo, affettivo, relazionale, ha bisogno di un ambiente inclusivo e di una società rispettosa dei diritti di ognuno e di tutti.

Anche le persone con disabilità diventano adulte, ma possono davvero esercitare il diritto di esserlo?

Per aiutare le persone a crescere diventano centrali il ruolo dell’educazione, ma anche uno sguardo evolutivo che orienti le persone con disabilità verso una vita adulta il più possibile autonoma e verso l’emancipazione dalla famiglia d’origine, e infine un ambiente inclusivo dove fare esperienza emotiva di relazioni autentiche.

Lo sguardo dei genitori delle persone con disabilità, pertanto, deve da subito superare una visione prettamente curativa e riabilitativa, fare per migliorare la disabilità, a favore di una visione più relazionale e sociale per consentire al figlio di vivere molte relazioni sin da quando è piccolo: al nido, alla scuola materna, e a tutti i gradi di scuola, all’oratorio, dentro il quartiere dove vive. L’educazione deve essere improntata all’autonomia attraverso un sostegno mirato reale/concreto della persona negli aspetti fisici, cognitivi, e psicologici affettivo-relazionali perché la persona maturi la consapevolezza del proprio funzionamento, delle proprie potenzialità e dei limiti, oltre alla comprensione del proprio stato emotivo, imparando anche a riconoscere quello delle altre persone.

Lo sguardo educativo si sposta dal fare al costruire relazioni facilitando l’incontro, la comunicazione e la conoscenza reciproca, permettendo la partecipazione e la condivisione, cercando spazi e tempi idonei sin dai primi anni di vita.

La persona disabile è prima di tutto un individuo con i suoi diritti e i suoi doveri, diritto allo studio, al lavoro, alla vita indipendente, il dovere di considerare gli altri, l’accettazione delle regole di convivenza civile, il rispetto delle leggi, l’assunzione di responsabilità.

Lo sviluppo verso l’età adulta comporta quindi un lungo percorso dove gli sforzi educativi condivisi con le varie agenzie devono essere orientati allo sviluppo delle autonomie personali, sociali, affettivo/relazionali intra ed extra famigliare.

Tutto ciò contribuisce alla formazione della identità e alla maturazione della consapevolezza della capacità di scegliere come vivere, dove vivere e con chi vivere.

 Cosa significa essere adulti?

La definizione di adulto nel dizionario della lingua italiana è la seguente: “adulto è la persona che ha raggiunto il pieno sviluppo fisico e psichico”.

La persona adulta è in grado di autodeterminarsi, fare scelte consapevoli, assumersi delle responsabilità e acquisire determinate libertà.

La definizione di adulto in caso di disabilità diventa più complessa e riguarda le competenze che ogni persona possiede e non solo i suoi limiti; riguarda non solo la capacità esplicita di dichiarare le proprie scelte, ma anche quella implicita che si deduce dall’osservazione della condizione di ben-essere di ogni persona; non comporta la totale e completa autonomia, ma include la capacità di chiedere aiuto e fruire positivamente del sostegno degli altri.

La prima autonomia che si chiede ad una persona che cresce riguarda la possibilità di esprimere e di comprendere: esprimere con il corpo (mimica e gestualità) e con la parola le proprie emozioni, pensieri, desideri; comprendere contesti e situazioni e soprattutto il linguaggio verbale-mimico-gestuale tipico dell’ambiente in cui la persona vive. Questo è possibile se vengono condivisi i codici e i simboli che consentono all’individuo di maturare una sua appartenenza ad un gruppo.

Attraverso queste capacità di esprimere e di comprendere (capacità relazionali), l’individuo costruisce la sua identità e autonomia, inoltre matura un senso di appartenenza ai vari contesti di vita in famiglia, a scuola, al lavoro, nel sociale.

Essere adulto significa avere maturato consapevolezza di sé, degli altri, dell’ambiente, essere capaci di scegliere e vivere una vita ricca di relazioni diverse in contesti sociali, lavorativi, occupazionali, ricreativi, relazionali, culturali anche grazie alla mediazione e ad un supporto adeguato.

Con le persone con disabilità il processo di emancipazione comporta il superamento degli stereotipi, andare oltre le apparenze, le fragilità, le mancanze e i deficit e credere nelle possibili autonomie, capacità, relazionalità anche se raggiungibili attraverso il sostegno di altre persone.

La dipendenza non è quindi un limite all’essere adulto.

Le persone con disabilità diventate adulte possono quindi desiderare di ampliare le proprie autonomie e maturare processi di emancipazione dalla famiglia d’origine.  Questi processi di autonomia dalla famiglia d’origine si attuano attraverso esperienze concrete nella libera scelta di ognuno. Questo processo avviene all’interno di buone prassi inclusive facendo esperienza dei propri limiti e accettando la frustrazione che matura nell’incapacità/insuccesso e nel confronto con la “normalità”.

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